Ateliers

Officine di fabbro ferraio

vano B : officina del fabbro ferraio

Nel periodo di occupazione del sito da parte di gruppi di origine germanica alcune aree sono state adibite ad officina di fabbro ferraio. Le tracce più chiare e cospicue provengono dal vano B. Qui si riconoscono infatti un ampio bacino per l’acqua, alimentato da una canaletta presumibilmente collegata ad un complesso sistema idrico e a una cisterna, per ora non ancora individuata.

Un secondo bacino, molto profondo e dotato di un colletto di fattura molto curata si trova sulla sinistra della porta d’ingresso. Le analisi eseguite sui campioni ricavati dalle pareti delle vasche del vano B hanno identificato lo spesso strato rosso come ossidi di ferro derivanti dalla lavorazione del ferro. Le abbondanti quantità indicano che le attività di fabbro ferraio devono essere state intense e di lunga durata. Accanto al bacino vicino all’ingresso si nota una seconda vasca meno ampia e profonda della prima. Si può ipotizzare che contenesse un recipiente per l’acqua, impiegato nella manifattura di pezzi o parti di dimensioni ridotte, o, più probabilmente, che fosse usato per liquidi diversi dall’acqua, ad esempio olio o urina, impiegati nelle officine di fabbro ferraio nella manifattura di oggetti in acciaio per cui erano necessari trattamenti di tempra di tipo diverso.

Vasca per tempra

L’interessante caratteristica di un bacino di tempra doppio è noto da periodi più tardi, ma esami di vario tipo, condotti su manufatti in ferro di periodo romano hanno spesso indicato l’impiego di un liquido da tempra diverso dall’acqua. È quindi molto probabile che nella ben organizzata officina di Torraccia si usassero tecniche di tempra di vario tipo.

Il lastrone di pietra rinvenuto all’interno del vano B era certamente adibito come piano di lavoro. La distribuzione delle scaglie di martellatura e le alterazioni dei muri hanno permesso di individuare con certezza la posizione di forge che devono essere state di piccole dimensioni e di semplici pietre accostate a contenere le braci.

barrette sottilissime di ferro

A ridosso del muro Est, accanto alla vasca vi era una notevole quantità di sabbia quarzifera allogena, posta in un avvallamento. La sabbia era impiegata dai fabbri come antiossidante per la lavorazione del ferro sulla forgia e come supporto per i pezzi finiti o in fase di lavorazione. Sopra alla sabbia si sono infatti rinvenute ancora in situ sottilissime barrette di ferro, evidentemente prodotte nell’officina. La perizia necessaria nella produzione di questo tipo di manufatto, lungo e molto sottile, quindi alquanto fragile, è notevole.

Au cours de la campagne 2009, on a mis au jour, à une certaine distance de la pièce B, une grande forge en pierre, possédant une rainure pour le soufflet et un bord de pierre plates et arrondies sur lesquelles même les objets de plus grande taille pouvaient être forgés. Apparemment, la forge n’a jamais été utilisée et est une structure d’un type très différent et clairement plus récent que celle de la pièce B.

Nel corso della campagna 2009 è stata riportata alla luce ad una certa distanza dal vano B anche una grande forgia in pietra, con la  scanalatura per i mantici e un bordo di pietre piatte e arrotondate su cui anche manufatti di notevole misura potevano essere forgiati. Apparentemente la forgia non è mai stata usata ed è una struttura di tipo molto diverso e chiaramente più recente  rispetto a quelle del vano B.

E` possibile che in altre zone dello scavo siano esistite all’esterno, oltre alle piccole forge di pietre mobili, anche delle forge di maggior misura, impiantate nello stesso periodo in cui il vano B era in uso, probabilmente protette da una semplice tettoia in paglia, ad esempio nell’area al di fuori del vano B.

La fornace per il vetro

Fornace per il vetro

Nel corso dello scavo 2008, sotto un crollo nel vestibolo d’accesso alla sala triabsidata, è stata scavata una fornace per la lavorazione del vetro.

La base della fornace è una tegola romana di grandi dimensioni su cui sono state trovate in situ le ceneri e i resti della copertura in argilla. Le pareti sono in pezzame litico e frammenti di tegole. La copertura in argilla era in origine sostenuta da bacchette, bruciate durante l’uso, ma di cui sono rimaste le impronte nei frammenti di argilla.  Per rendere la copertura più resistente al calore, sono stati usati frammenti di gusci di chiocciole, ben evidenti nell’impasto. In tal modo il materiale diventa porosa durante la cottura. Un gruppo di gusci di chiocciole, evidentemente raccolti a questo scopo, sono stati trovati anche in un angolo dello stesso vano. La base, i resti di parete ed i frammenti permettono di ricostruire nei dettagli la struttura.

Impasto della calotta della fornace per il vetro

La fornace è del tipo impiegato per fondere e rielaborare rottami di vetro, non una fornace per la produzione del vetro eseguita partendo dagli ingredienti di base, e ricorda da vicino la descrizione della fornace per la ricottura di lastre di vetro, fornita da  Theophilus Presbyter, nel suo trattato “De Diversis Artibus”, (inizi del XII sec.). Nel vestibolo sono stati individuati due bacini per l’acqua, connessi al sistema idrico mediante piccole canalizzazioni. Il flusso dell’acqua era regolato inserendo o togliendo un frammento di tegola posto all’imboccatura della canaletta.

Fornace di Torraccia
Fornace descritta da Theophilius

Il muro alle spalle della fornace è notevolmente alterato dalla prolungata esposizione al calore e, nello stesso vano, si notano anche altri settori murari con simili lesioni. Non essendo prodotte in materiali refrattari, fornaci di questo tipo non avevano una lunga durata e dovevano spesso essere rifatte completamente. È dunque possibile che nello stesso ambiente siano esistite in precedenza altre simili fornaci in altre posizioni, come nel caso della forgia del fabbro ferraio. Le piccole dimensioni permettevano di controllare più facilmente l’atmosfera riducente o ossidante, a seconda del tipo di vetro in lavorazione.

Pezzi del braciere

Nelle immediate vicinanze della fornace sono comparsi i frammenti di un contenitore forato, fortemente annerito all’interno e dotato di un labbro svasato. Si tratta certamente del braciere per carbonella su cui gli artigiani del vetro elaboravano i loro manufatti, dopo aver fatto fondere le tessere vitree recuperate dai vani rappresentativi della villa in rovina. Immagini di simili recipienti forati, adibiti a questo uso, sono noti da rappresentazioni di officine medievali ed anche più tarde. I fori servivano all’apporto d’aria attraverso mantici e quindi a mantenere stabile l’atmosfera richiesta dalla particolare lavorazione in atto al di sopra del braciere.

tessere e vaghi verdi
residui della lavorazione del vetro

All’esterno della fornace si sono rinvenuti frammenti di vetro e numerose tessere da mosaico, mentre da altre aree dello scavo provengono resti di colature di vetro in colori diversi e vaghi da collana di varie misure e colore. I residui di lavorazione del vetro e le colature sembrano provenire da varie fasi del riciclaggio delle tessere e vanno dai grumi di cemento alterato dal calore, che inglobano ancora le tessere in vetro, a grumi informi di vetro opaco e di colorazione incerta, a colate di vetro di colore brillante fino a gocce di vetro che sembrano essere vaghi non riusciti.

Analisi metallurgiche

Residui di lavorazione del ferro
scoria ricca in ferro

ANessuna delle scorie ferrose esaminate ad Aiano-Torraccia di Chiusi può essere riconducibile ad una fase di riduzione di minerali di ferro, ma si tratta invece in tutti i casi di  scorie a calotta, derivanti dalla lavorazione su forgia, scaglie di martellatura e altri resti riferibili a strutture alterate dal calore, ad esempio rivestimenti di forge.

Scoria a calotta

Le analisi condotte su circa 200 campioni di scorie di lavorazione hanno permesso di individuare i materiali elaborati da cui derivano le scorie a calotta. Nella maggior parte dei casi sembra trattarsi di elaborazione di manufatti, spesso riciclando probabilmente ferro proveniente da rottami. Non sono invece molti i frammenti interpretabili come scorie di purificazione, raffinazione e compattamento che potrebbero indicare l’elaborazione di ferro grezzo o di barre di ferro semilavorato.

Le scaglie di martellatura esaminate sembrano provenire dalla rielaborazione di oggetti in ferro riscaldati sulla forgia fino al calore bianco, e cosparsi di silicati per impedire l’ossidazione superficiale durante la lavorazione. All’interno di alcune erano infatti ancora riconoscibili i cristalli quarzosi della sabbia pulita impiegata come fluidificante durante la lavorazione. Solo alcuni frammenti non integri contenevano ossidi di ferro più abbondanti ed erano con tutta probabilità riferibili alla rielaborazione o riparazione di oggetti in ferro. I cristalli di sabbia all’interno delle scaglie sembrano simili a quelli del letto di sabbia nel vano B.

Manufatti in ferro
Campanacci in ferro di probabile produzione locale

L’esame dei campanacci in ferro ha mostrato che erano stati rifiniti con cura ed elaborati con perizia. Il materiale è semplice ferro dolce, malleabile e con un basso contenuto di carbonio e la struttura metallografica è fortemente corrosa. Campanacci molto simili per forma, lavorazione e materiale sono stati rinvenuti in Ungheria nella zona occupata da tribù di origine germanica, come i Longobardi, i Gepidi ed i Goti, nel periodo di dominazione unna. I campanacci rinvenuti in Ungheria sono stati ipoteticamente attribuiti agli unni, ma è risaputo che la classe guerriera “unna” era in realtà estremamente eterogenea e comprendeva molte etnie e tribù di varie origini.

Chiodo in ferro

La notevole somiglianza con i manufatti ungheresi suggerisce che questi oggetti siano da attribuire alla tradizione di tribù germaniche. La manifattura delle sottili barrette in ferro, rinvenute sul letto di sabbia all’interno del vano B  sembra indicare una produzione specializzata e di alta qualità.

Alcuni grandi chiodi di misure diverse, possibilmente da carpentiere, sono stati esaminati in dettaglio. La loro sezione ha mostrato che la struttura, ora fortemente corrosa, contiene un’alta percentuale (intorno al 15-20%) di scorie silicatiche in forma di fibre allungate. Ciò dimostra che per la manifattura dei chiodi è stato impiegato un ferro sommariamente purificato, forgiato e ripiegato su se stesso più volte, in modo da ottenere inclusioni lungo tutta la struttura del fusto per renderli più duri e resistenti alla corrosione. Non è tuttavia possibile datare i chiodi  in base al tipo di lavorazione ed è possibile che risalgano al periodo romano.

Tessere di mosaico dorate
Tessere dorate

Le numerosissime tessere di mosaico in vetro colorato, certamente di periodo romano, sono state rifuse e impiegate per confezionare vaghi di collana multicolori, per lo più con un’addizione di sali di piombo per abbassare la temperatura di fusione e rendere il vetro più fluido. Oltre alle tessere di mosaico in vetro colorato e a vari frammenti di vetro di vario tipo (v. anche il materiale: il vetro)

lingotto di piombo

sono state recuperate anche tessere dorate con foglia d’oro, ma soprattutto  un gran numero di supporti di tessere con foglia d’oro evidentemente scartati. Questo fatto, assieme ad un “lingotto” di piombo, di un tipo fino ad ora senza confronti, ma contenente notevoli tenori d’oro (2,3%), sembrano indicare che le cartelline con la foglia d’oro siano state trattate mediante cupellazione allo scopo di recuperare l’oro.

 

Le pietre di paragone
pietra di parangone

Le ricerche archeologiche presso Aiano-Torraccia di Chiusi hanno riportato in luce anche due esemplari, uno integro, l’altro frammentario, di pietre di paragone. Si tratta di tavolette di pietra silicatica di forma rettangolare – quella meglio conservata di cm 10,5 x 7,5 ca. – a bordi smussati e tagliati obliquamente. L’esame al microscopio ha mostrato che si tratta, nel caso della tavoletta integra, di uno scisto grigio scuro a grana fine (ardesia), mentre il frammento di pietra di paragone è  invece di una pietra metamorfica a grana fine, ricca di mica e possibilmente smectite, muscovite e quarzo. Ambedue i litotipi sono perfetti per quest’uso. Gli oggetti in oro  di cui si voleva determinare la lega ed il grado di purezza venivano strofinati sulla superficie e le tracce lasciate venivano confrontate con quelle di leghe d’oro di diversa purezza e composizione.

Le pietre di paragone sono importanti strumenti usati solamente da orafi abili e specializzati e non certo da artigiani che eseguivano piccole riparazioni.

È importante notare che fino ad ora solo pochi esemplari di pietre di paragone sono stati riconosciuti come strumenti dell’orafo, perché queste lastre di pietra con lati smerigliati sono simili per forma alle tavolette per cosmetici ed unguenti medicinali usati nell’Antichità, anche se solitamente i materiali impiegati erano diversi.

Oggetti in leghe a base di rame

Le analisi degli oggetti e dei frammenti in leghe a base di rame hanno mostrato che si tratta di un gruppo eterogeneo di pezzi di datazioni diverse. La composizione dei vari reperti è spesso riferibile al periodo romano e possibilmente perfino all’età del ferro, ma in molti casi è possibile che la composizione sia dovuta al riciclaggio di materiali più antichi, recuperati e rielaborati nelle officine tardo antiche. Nella maggior parte dei casi si sono identificate leghe quaternarie, ottoni al piombo e ottoni, ma non mancano oggetti in rame non alligato e in bronzo.

Alessandra Giumlia-Mair (AGM Archeonanalisi, Merano (BZ))